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AGEVOLAZIONI PER LE MAMME NELLA LEGGE DI BILANCIO

Spazio ed attenzione alla genitorialità nella Legge di bilancio per il 2024 dove meritano la lente di ingrandimento due provvedimenti che ampliano le tutele a favore di maternità e paternità.  

Esonero contributivo al 100% per le madri con almeno due figli

Si tratta di una disposizione che fa il paio con l’esonero parziale riproposto a favore della generalità dei lavoratori dipendenti e che prevede una riduzione del cuneo fiscale (già prevista dalla Legge di Bilancio 2022) che prevede un esonero sull’aliquota dei contributi previdenziali a carico dei lavoratori dipendenti pari al 7% se la retribuzione imponibile non eccede l’importo mensile di 1.923 euro, ovvero al 6% se la retribuzione imponibile mensile è superiore a 1.923 euro e non eccede l’importo di 2.692 euro. Il legislatore, in questo caso, ha previsto, invece, per le sole mamme – per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2026 – l’esonero dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti (IVS) al 100% nel limite massimo annuo di 3.000,00 euro (riparametrato su base mensile) per le lavoratrici madri di tre o più figli, fino al mese di compimento del diciottesimo anno di età del figlio più piccolo. L’agevolazione spetta alle madri (anche per i casi di affidamento) con rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, ad esclusione dei rapporti di lavoro domestico. Le lavoratrici, quindi, si ritroveranno azzerata l’aliquota previdenziale nel cedolino paga senza che ciò vada ad intaccare la loro posizione pensionistica. L’agevolazione porterà ad un maggior netto in busta paga. Solo per il 2024 hanno diritto all’esonero anche le lavoratrici con almeno due figli, se quello più piccolo ha meno di 10 anni. Con la circolare n. 27 di recente emanazione l’Inps precisa che il requisito del numero dei figli che fa sorgere il diritto all’esonero si realizza nel momento in cui il secondo (o il terzo figlio) nasce senza che l’eventuale premorienza di uno o più figli o dell’eventuale fuoriuscita di uno dei figli dal nucleo familiare o, ancora, nelle ipotesi di non convivenza di uno dei figli o di affidamento esclusivo al padre, faccia decadere il diritto. Un’agevolazione che sorge, non solo in caso di contratto a tempo indeterminato, ma anche nell’ipotesi di stabilizzazione del rapporto dopo un contratto a termine e il beneficio spetta dalla data della trasformazione. Sono agevolate anche le lavoratrici apprendiste e assunte in somministrazione a tempo indeterminato. L’agevolazione è immediatamente operativa in quanto non necessita di alcuna autorizzazione dell’Unione europea. Anche le dipendenti part-time accedono al beneficio e, se impiegate in più aziende, possono fruire dell’esonero su tutti i rapporti. L’azzeramento dell’aliquota previdenziale prevede un massimale di riduzione dei contributi Ivs (invalidità, vecchiaia, superstiti) per ogni lavoratrice fino a 3.000 euro annui, corrispondenti a 250 euro mensili e a 8,06 euro al giorno. A tale importo si perviene (precisa l’Inps) dividendo per 31 l’ammontare mensile. Si tratta di un coefficiente fisso, valido anche per i mesi che hanno un minor numero di giorni. L’esonero si applica per intero nel mese di nascita del bambino ma si riproporziona in caso di nuova assunzione/stabilizzazione o cessazione del rapporto. L’esonero non si applica automaticamente ma deve essere richiesto dalla lavoratrice dandone comunicazione al datore di lavoro e fornendogli i codici fiscali dei figli. Tali informazioni potranno anche essere rese direttamente all’Inps dalle interessate tramite un’applicazione che l’Inps rilascerà a breve, ma attenzione che la mancata indicazione dei codici fiscali dei figli potrebbe far perdere il diritto all’esonero. Il riconoscimento dell’agevolazione da parte del datore di lavoro transita nel flusso Uniemens già a partire dal mese di febbraio, ma è data facoltà di procedere all’inserimento degli arretrati di gennaio e febbraio utilizzando i flussi di marzo, aprile e maggio del corrente anno.

Congedo parentale più ricco

La legge di bilancio 2024 amplia (anche e nuovamente) l’importo dell’indennità di congedo parentale fruibile per madri o padri entro il sesto anno di vita del bambino (nel 2023 era l’80% per il solo primo mese). Nello specifico si prevede l’aumento dell’indennità (ordinariamente fissata al 30% della retribuzione imponibile). Si tratta di un intervento sull’articolo 34 del Dlgs 151/2001 che aggiunge un mese di congedo con indennizzo maggiorato a quello che già era stato introdotto dalla legge di Bilancio dello scorso anno. Sostanzialmente i lavoratori o le lavoratrici che terminano il periodo di congedo obbligatorio di maternità o, in alternativa, di paternità (dopo il 31 dicembre 2023), possono fruire nel 2024 di ben due mensilità di congedo indennizzate all’80% invece che al 30%. Dal 2025, ferma restando l’indennità all’80% per il primo mese, quella per il secondo scenderà al 60%.

Il ginepraio

Il congedo parentale consiste nell’astensione facoltativa dal lavoro della lavoratrice o del lavoratore dove ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro nei primi 12 anni di vita del bambino, con un limite complessivo di dieci mesi, elevato a 11 se il padre lavoratore esercita il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a tre mesi. Nell’ambito di tale limite, il diritto di astenersi dal lavoro spetta alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo di maternità, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi, mentre al padre lavoratore (a partire dalla nascita del figlio) per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi, elevabili a sette mesi nel caso in cui si astenga per un periodo intero o frazionato non inferiore a tre mesi.  Nel caso di unico genitore o affidatario esclusivo del figlio l’astensione può andare fino ad un periodo continuativo o frazionato non superiore a 11 mesi. In quest’ultimo caso, l’altro genitore perde il diritto al congedo non ancora utilizzato. Normalmente l’indennità spettante è pari al 30% della retribuzione per tre mesi, non trasferibili, a ciascun genitore lavoratore più un ulteriore periodo di tre mesi, alternativo tra i genitori, in un periodo massimo complessivo indennizzabile tra i genitori di nove mesi. Gli ulteriori periodi di congedo parentale (fino al dodicesimo anno di vita del bambino) sono retribuiti al 30% della retribuzione, a condizione che il reddito individuale dell’interessato sia inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria.