IL WELFARE PER GLI AMMINISTRATORI

Il Welfare aziendale è un complesso di servizi di vario genere messi a disposizione dei collaboratori al fine di sopperire ad esigenze sia in termini di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, nonché di quei servizi che oggi con maggiore difficoltà sono garantiti dal cosiddetto Welfare statale. Oramai da quasi dieci anni, è diventato anche un’importante leva fiscale per abbattere l’insieme delle imposte e dei contributi previdenziali che gravano sul lavoro, sia a carico del datore di lavoro sia del lavoratore, ma, attraverso la prassi amministrativa degli ultimi anni, i benefici possono estesi anche ai consiglieri di amministrazione.
Il compenso degli amministratori
Nella maggior parte dei casi, l’attività di amministratore è inquadrabile fiscalmente nelle cosiddette co.co.co. e rappresenta un reddito assimilato a lavoro dipendente. In tal caso, la rilevanza reddituale delle somme riscosse e dei benefici, anche a titolo di welfare, è valutata applicando i principi normativi e interpretativi alla base dell’art. 51 Tuir. Il presupposto per l’applicazione del medesimo trattamento riservato ai lavoratori dipendenti si basa sull’assimilazione del loro reddito a quello da lavoro dipendente ai sensi dell’art. 50, comma 1, lett. c-bis, TUIR. Ciò non rileva, invece, quando il compenso rientra tra le prestazioni professionali e rappresenta, quindi, un reddito di lavoro autonomo che si realizza quando l’attività dell’amministratore è considerata pertinente rispetto all’attività professionale. In questo caso, le indennità non possono fruire del regime agevolato previsto per il welfare.
I presupposti per il welfare agli amministratori
La prima citazione sull’obbligo di erogare benefit esclusivamente alla generalità o a categorie omogene avviene all’interno della Circolare 326/E del 1997, in merito all’obbligo di seguire tale criterio nell’attribuzione dei servizi di mensa, sostitutivi della mensa o dei buoni pasto, ma la prima in materia di erogazione di flexible benefit è la circolare 28/E del 2016 emessa dopo la riforma del welfare aziendale, che ha confermato la necessità di destinare i benefici a gruppi omogenei e non a singoli lavoratori. Con la risposta dell’Agenzia delle Entrate Direzione Regionale Lombardia all’interpello n. 954-1417/2016, entra successivamente in gioco la categoria degli amministratori, considerata così a pieno diritto destinataria delle misure di welfare introdotte dalla legge di bilancio per il 2016.
Amministratori ma con compenso
Con la risposta ad interpello n. 522 del 2019 l’Agenzia delle Entrate risolve anche il caso di tre membri del Consiglio di amministrazione della società, dei quali uno solo percepiva compensi in denaro di cui all’articolo 50, comma 1, lettera c-bis), del Tuir per lo svolgimento dell’incarico, mentre gli altri due membri svolgevano l’incarico a titolo gratuito. Al riguardo, secondo l’amministrazione finanziaria, non sussiste il requisito della categoria omogenea dal momento che dei tre amministratori solo uno veniva retribuito per l’incarico e la circostanza che tali benefit venivano corrisposti anche agli amministratori senza compenso, ha portato a ritenere che la funzione di questi benefit era essenzialmente remunerativa e quindi non aggiuntiva rispetto al compenso, decretandone così l’imponibilità fiscale e previdenziale.
L’amministratore unico non rientra
Con la Risposta n. 10 del 25 gennaio 2019 l’Agenzia delle Entrate ha specificato, inoltre, la non ammissibilità dell’amministratore unico come destinatario di misure di welfare aziendale. Il motivo principale è che, a differenza dei consiglieri di amministrazione che rispetto al consiglio (in quanto organo collegiale) hanno una posizione di alterità, l’amministratore unico non ha alcun vincolo “alle dipendenze e sotto la direzione di altri” (art. 49, comma 1, del Tuir). I piani di welfare, oltretutto, devono essere rivolti a categorie di lavoratori omogenee (come tutti i dipendenti) e non “ad personam”. Se un piano di welfare è creato esclusivamente per l’amministratore unico, viene considerato inammissibile dal fisco.
Istruzioni per l’uso
Per accedere al beneficio della piena deducibilità dei costi sostenuti in materia di welfare è necessario redigere anche un regolamento vincolante: l’Agenzia delle entrate con riferimento alla norma in questione, ha precisato che “la erogazione dei benefit in conformità a disposizioni di contratto, di accordo o di regolamento che configuri l’adempimento di un obbligo negoziale determina la deducibilità integrale dei relativi costi da parte del datore di lavoro ai sensi dell’articolo 95 del Tuir, e non nel solo limite del cinque per mille, secondo quanto previsto dall’articolo 100 del medesimo testo unico”. Per ciò che riguarda la deducibilità dei costi dovrà anche essere adottata un’apposita delibera assembleare.
L’obbligo negoziale
In una delle prime risposte ad interpello l’Agenzia delle entrate ha specificato che cosa si intenda per “obbligo negoziale”. Sostanzialmente, ai fini della deducibilità integrale, da parte del datore di lavoro, dei costi per i servizi welfare concessi, è necessario che l’assegnazione degli stessi avvenga tramite un regolamento aziendale in cui sia contenuta un’obbligazione negoziale a carico del datore di lavoro che non consenta allo stesso, per un determinato periodo di tempo, di modificare o cessare unilateralmente e discrezionalmente gli impegni assunti, senza che da questo non possa derivare nessun successivo obbligo nei confronti dei lavoratori coinvolti, né tantomeno dei diritti di qualsiasi natura in capo a questi ultimi. In tal caso i lavoratori coinvolti nel piano di welfare acquisiscono la titolarità di un diritto soggettivo dal quale scaturisce un obbligo per il datore di lavoro, con tutte le conseguenze di legge. Non è prevista la data certa, ma ai fini della prova è opportuno che il regolamento aziendale, dopo essere stato consegnato a tutti i lavoratori coinvolti, sia anche reso noto agli stessi tramite la sua affissione nella bacheca aziendale e/o inviandolo attraverso l’utilizzo di posta elettronica. Per gli amministratori, invece, l’adozione della delibera è di per sé idonea a stabilire le regole del gioco che non dovranno, però, essere revocate fino a scadenza. Si ritiene che il regolamento welfare possa essere integrato ma non in pejus, pena la possibile revoca dei benefici in caso di verifica.
L’abuso del diritto
Non esiste alcuna norma o prassi amministrativa che stabilisca un minimo o un massimo del conto welfare rispetto all’entità del compenso da amministratore, ma nell’attribuzione del compenso è necessario tenere fede a principi di congruità in modo da evitare che l’Agenzia delle Entrate possa ritenere l’attribuzione di un welfare importante rispetto al compenso una operazione tendente ad eludere esclusivamente i principi di imponibilità fiscale e previdenziale. Va ricordata, infatti, la norma di carattere generale di cui al D.lgs. n.128/2015, denominata “abuso del diritto” che all’art. 1, prevede che “Configurano abuso del diritto una o più operazioni …..omissis… che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni”.