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L’INVESTIGATORE PER STANARE L’ABUSO SULL’USO DEI PERMESSI PER ASSISTENZA DISABILI

Sono diverse le sentenze sulla legittimità dei licenziamenti avvenuti per abuso dei permessi per assistere i familiari affetti da disabilitàin base al principio che essi devono essere fruiti in coerenza con la loro funzione e in difetto di tale nesso causale diretto tra assenza dal lavoro e prestazione di assistenza, devono ritenersi violati i principi di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell’ente assicurativo. Su questo filone si è espressa la Suprema Corte anche con la recente Ordinanza del 12 marzo 2024, n. 6468.

La disciplina dei permessi retribuiti ex lege 104/1992

Il comma 3 dell’art. 33, della legge n. 104/1992 attribuisce al dipendente che assiste un familiare con handicap grave il diritto di fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa. Queste giornate spettano ad un solo familiare per ciascun soggetto con handicap in situazione di gravità, che ha diritto di godere di tale agevolazione per l’assistenza al famigiare disabile. Il diritto al permesso ha la finalità specifica ed esclusiva dell’assistenza al disabile, dovendosi escludere che alla fruizione del permesso possa connettersi una funzione meramente compensativa o di ristoro delle energie impiegate dal dipendente per l’assistenza prestata o, comunque, la possibilità di utilizzare il permesso per esigenze diverse da quelle per le quali è stato concesso. Il lavoratore che si avvalga di tale beneficio non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività, integra l’ipotesi di abuso del diritto, giacché tale condotta si palesa, nei confronti del datore di lavoro, come lesiva dei principî di buona fede e correttezza, privandolo ingiustamente della prestazione lavorativa, e integra nei confronti dell’ente di previdenza erogatore del trattamento economico un’indebita percezione dell’indennità e uno sviamento dell’intervento assistenziale. Sostanzialmente, quando il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile difetti del tutto, non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e, dunque, l’uso improprio si traduce in un inadempimento. In pratica, perché la funzione dei permessi ex lege 104/92 sia lecita, l’assistenza deve essere esclusiva (non è quindi consentito utilizzare i permessi, nemmeno in parte, per attività diverse); può consistere in attività diverse dalla cura fisicamente prestata presso il domicilio del parente disabile, purché tali attività siano direttamente finalizzate a soddisfare esigenze primarie dell’assistito; deve essere svolta personalmente dal beneficiario dei permessi senza che possa essere delegata, nemmeno in parte, a terzi.

L’abuso come disvalore sociale

Con la recente ordinanza, gli ermellini hanno confermato la legittimità di quanto stabilito dalla Corte d’appello di Palermo dopo che la sentenza di primo grado, aveva rigettato l’impugnativa del licenziamento disciplinare intimato alla dipendente di un istituto bancario per assenza ingiustificata, a seguito di anomali allontanamenti dal posto di lavoro soprattutto in connessione con la fruizione di permessi ex lege 104/1992. La corte territoriale riteneva infatti provato che durante le ore imputate a permesso per l’assistenza ai genitori disabili, la lavoratrice non aveva prestato assistenza in modo significativo, essendosi dedicata ad altre attività. Respingeva altresì le doglianze della lavoratrice relative alla illegittimità del controllo datoriale operato tramite agenti investigativi ed alla violazione del diritto di difesa di cui all’art. 7 dello Statuto dei lavoratori per non aver il datore di lavoro consegnato tutti i documenti asseritamente necessari per il pieno esercizio di detto diritto. Secondo la Corte, il comportamento della lavoratrice è stato sintomatico del disinteresse della stessa per le esigenze datoriali e, costituendo grave violazione dei principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto, idoneo, quindi, a legittimare il licenziamento per giusta causa. La Cassazione ha ribadito inoltre il filone giurisprudenziale in base al quale “il controllo demandato all’agenzia investigativa è legittimo ove non abbia ad oggetto l’adempimento della prestazione lavorativa ma sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, come proprio nel caso di controllo finalizzato all’accertamento dell’utilizzo improprio, da parte di un dipendente, dei permessi ex art. 33 legge n.104 del 1992”. La Cassazione ritiene altresì infondato l’ulteriore motivo di ricorso con cui si lamenta la mancata consegna, da parte del datore di lavoro, della documentazione richiesta a seguito della contestazione disciplinare, ricordando che l’articolo 7 dello Statuto dei lavoratori non sancisce l’obbligo per il datore di lavoro di mettere a disposizione del dipendente destinatario della contestazione di addebiti la documentazione aziendale relativa ai fatti contestati, a meno che ciò sia necessario per l’esercizio del diritto di difesa, gravando tra l’altro sul lavoratore l’onere di specificare quali siano i documenti la cui messa a disposizione sarebbe stata necessaria per il predetto scopo. In un’altra e recente sentenza (n. 30462 del 2 novembre 2023) la Corte di cassazione va giù ancora più dura stabilendo, come l’accertata indebita fruizione dei permessi determina la validità del licenziamento del lavoratore, anche tenuto conto della rilevanza penale di tale condotta, il suo grave disvalore sociale e la colpevole indifferenza per le complicazioni organizzative del datore di lavoro e per i colleghi di lavoro costretti a coprire il turno notturno al suo posto, a nulla rilevando l’assenza della previsione della condotta in esame nelle norme disciplinari del contratto collettivo nazionale applicato dal datore di lavoro.

La legittimità dei controlli tramite agenzie investigative

Sulla base del principio contenuto nell’art. 2697 Codice civile in tema di distribuzione dell’onere probatorio in giudizio, è in capo al datore di lavoro l’onere di provare l’assenza di assistenza e/o lo svolgimento, da parte dell’utilizzatore dei permessi, di attività incompatibili con la prestazione della stessa. Il fondato sospetto che il dipendente stia tenendo una condotta illecita, lesiva del patrimonio aziendale, giustifica il ricorso ai cosiddetti controlli difensivi che non risultano preclusi dagli articoli 2 e 3 della legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori) poiché non attengono all’esercizio della prestazione lavorativa, essendo eseguiti al di fuori dell’orario di lavoro e in una fase di sospensione dell’obbligazione principale gravante sul lavoratore. È, dunque, legittima la condotta del datore di lavoro che si serva di un’agenzia investigativa per verificare l’esatto adempimento delle obbligazioni facenti capo al dipendente con riguardo a comportamenti tenuti al di fuori dell’ambito lavorativo, ma disciplinarmente rilevanti con conseguente utilizzabilità delle relative prove nell’ambito di un procedimento disciplinare avviato nei confronti del dipendente.