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CONTRATTI A TERMINE: il ministero interpreta le novità

Il Ministero del lavoro con la circolare n. 9 del 9 ottobre 2023 si concentra sulla conversione in legge del decreto n. 48/2023 (decreto lavoro), che consente l’azzeramento dei mesi di acausalità dei contratti a termine e somministrazione a termine, ma anche sulla validità delle causali dei contratti a termine fissate dai contratti collettivi, sull’interpretazione da dare alla scadenza del 30 aprile 2024 per l’individuazione delle causali stipulato per accordo fra datore e lavoratore e sui limiti quantitativi nella somministrazione di lavoro.

Il reset del contatore

La conversione del decreto nella legge 3 luglio 2023, n. 85 ha portato in dote l’azzeramento dei periodi acausali dei rapporti a termine stipulati prima del 5 maggio scorso (data di entrata in vigore del decreto lavoro) anche se protratti oltre tale data. Sostanzialmente, dal contatore dei primi 12 mesi acausali possono essere eliminati tutti i periodi dei rapporti di lavoro a termine derivanti da contratti stipulati prima del 5 maggio 2023, siano essi riferiti a nuovi contratti, a proroghe o a rinnovi. A decorrere dal 5 maggio 2023, pertanto, i datori di lavoro potranno liberamente fare ricorso al contratto di lavoro a termine per un ulteriore periodo (massimo) di dodici mesi, senza necessità di ricorrere alle causali, indipendentemente da eventuali rapporti a termine già intercorsi prima di tale data con il medesimo lavoratore. Nel caso in cui siano andati a scadenza dei contratti di lavoro a termine instaurati prima del 5 maggio, gli stessi possono essere rinnovati o prorogati “liberamente” per ulteriori dodici mesi. Con il termine “stipulati” il dicastero del lavoro precisa che si intendono non solo la sottoscrizione del primo contratto ma anche le sue proroghe o rinnovi.

Causali su misura

Con La riforma si è voluto valorizzare il ruolo della contrattazione collettiva nella individuazione delle causali che consentono di apporre al contratto di lavoro un termine superiore ai dodici mesi, sempre nel limite dei 24 mesi di durata massima del singolo contratto. La norma distingue tre specifici livelli di contrattazione idonei ad apporre le condizioni che possano legittimare un ricorso al contratto a termine superiore a 12 mesi. Il primo, attraverso la contrattazione collettiva nazionale, territoriale o aziendale, il secondo a livello aziendale in via meramente sussidiaria in assenza della prima e, infine, quando tra le parti individuali del contratto di lavoro, se ciò risponda ad esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva che giustificano l’apposizione di un termine al contratto. Quest’ultima è temporanea e subordinata all’adeguamento alla norma da parte della contrattazione collettiva che dovrà metterci mano entro il 30 aprile 2024. Tale data è da intendersi come riferita alla stipula del contratto di lavoro, la cui durata, pertanto, potrà anche andare oltre il 30 aprile 2024.

La circolare analizza i vari casi, partendo dalla considerazione che la riforma si limita a riaffermare che spetta ai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative il compito di individuare le casuali. Nello specifico, se un accordo/contratto collettivo fa rifermento a fattispecie legali ormai abrogate dalla nuova norma, le relative clausole potranno ritenersi implicitamente superate dalla riforma, con conseguente possibilità di stipula delle causali individuali, ma sempre e solo fino al 30 aprile 2024. Se invece un accordo/contratto collettivo individua dei casi di ricorso al lavoro a termine in attuazione del decreto sostegni bis (introdotto durante il periodo Covid-19) – che, con il comma 1-lettera b-bis dell’articolo 19 del d.lgs 81/15, aveva stabilito la possibilità per le parti sociali di individuare delle causali ad hoc – considerata la sostanziale identità di tale normativa con le nuove regole, la relativa disciplina collettiva resta valida e vincolante. Queste aziende saranno vincolate, quindi, all’utilizzo di tali causali, non potendo in alcun modo accedere al regime di pattuizione individuale previsto fino al 30 aprile 2024. Se, pertanto, la contrattazione collettiva applicata dall’azienda dovesse prevedere causali di ricorso al contratto a tempo determinato specifiche e aderenti alla volontà del legislatore ma oramai obsolete, l’azienda ne è comunque vincolata al rispetto e viene meno la possibilità di pattuizione individuale entro il 30 aprile 2024. Il ricorso a quest’ultima fattispecie è comunque permessa quando la contrattazione collettiva si limita ad un mero rinvio a disposizioni di legge.  Va comunque precisato che ricade sulle parti sociali la responsabilità di porre mano urgentemente alla materia, in mancanza, scaduto il termine del 30 aprile, i contratti a termine potranno avere una durata massima di 12 mesi. 

Limiti quantitativi per la somministrazione a tempo indeterminato

Con l’introduzione del comma 1-quater vengono introdotte novità in materia di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato. Nello specifico viene previsto che ai fini del rispetto del limite del 20 per cento (rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato in forza all’utilizzatore), previsto per i lavoratori assunti con il cosiddetto “staff leasing” non rilevano i lavoratori somministrati assunti dall’agenzia di somministrazione con contratto di apprendistato. Inoltre, è stata esclusa espressamente l’applicabilità di limiti quantitativi per la somministrazione a tempo indeterminato di alcune categorie di lavoratori, tassativamente individuate, tra cui i soggetti disoccupati che fruiscono da almeno sei mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali, i lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati. La circolare ricorda quali sono tali soggetti svantaggiati (privi di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi; età compresa tra i 15 e i 24 anni; privi un diploma di scuola media superiore o professionale o che abbiano completato la formazione a tempo pieno da non più di due anni e non abbiano ancora ottenuto il primo impiego regolarmente retribuito; età superiore ai 50 anni; adulti che vivono soli con una o più persone a carico; occupati in professioni o settori caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25% la disparità media uomo-donna in tutti i settori economici; appartenenti a una minoranza etnica di uno Stato membro UE che abbiano la necessità di migliorare la propria formazione linguistica e professionale) e molto svantaggiati (soggetti che sono privi da almeno ventiquattro mesi di un impiego regolarmente retribuito e quelli che, privi da almeno dodici mesi di un impiego regolarmente retribuito, appartengono a una delle categorie prima richiamate).

La novità, che estende l’analoga disposizione già vigente per la somministrazione di lavoratori con contratto a termine, persegue – osserva la circolare – l’obiettivo di assicurare maggiori occasioni di occupazione a soggetti che si trovano in oggettive condizioni di svantaggio e, dunque, con minori opportunità di rientrare con tempestività nel mercato del lavoro.

Esigenze sostitutive

Quanto alle esigenze sostitutive, la circolare evidenza che nulla è cambiato: resta fermo l’onere per il datore di lavoro di precisare nel contratto le ragioni concrete ed effettive della sostituzione fermo restando che è vietata la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto allo sciopero.